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IL VAPORE E LE COPERTURE
Il vapore è sempre abbondante nei nostri ambienti di vita nella stagione invernale. Deve esserne allontanato per ventilazione naturale od artificiale. Non siamo in grado con le tecniche costruttive attuali di farne allontanare più del 10% attraverso coperture e murature, ed anche in questo caso ce ne ritroviamo in casa il rimanente 90%.
Un metro cubo di aria a 20°C riesce a mantenere in sospensione una quantità di massimo 17,3 g di vapore d’acqua. Se la temperatura scende a 15°C lo stesso volume d’aria non può tenere in sospensione più di 12,8 g di vapore. I rimanenti 4,5 g li dovrà depositare per condensazione sulle superfici più fredde con cui entra in contatto.
Per evitare questo fenomeno si può diminuire la quantità di vapore diluendo quell’aria con aria più asciutta. In inverno questo effetto si ottiene ad esempio ventilando i nostri ambienti di vita. Ciò è necessario anche per mantenere una qualità dell’aria interna soddisfacente e abbastanza salubre da non provocare malattie in chi la respira.
L’aumento di incidenza di fenomeni di condensa osservati negli ultimi decenni è ascrivibile a diverse modifiche dei modi d’uso delle abitazioni. Gli accresciuti standard di riscaldamento fanno sì che le temperature che si mantengono all’interno delle abitazioni raggiungano sempre, e talvolta superino, i 20°C nei momenti in cui esse sono occupate. Poiché però per la maggior parte della giornata le case rimangono vuote si preferisce in questi periodi fermare l’impianto di riscaldamento, con conseguente raffreddamento dell’aria ambiente e delle superfici che con essa scambiano calore.
Ogni volta che una massa di aria si raffredda il suo tenore di umidità relativa si innalza e può raggiungere il punto di saturazione, quando inizia a depositare sulle superfici fredde quantità di vapore acqueo in condensazione.
Come si comportano i nostri edifici
Per contro, a favore di un migliore comportamento igrometrico degli edifici, hanno giocato un ruolo importante l’aumento degli standard di isolamento termico, la maggiore attenzione ad evitare i ponti termici e la diffusione di sistemi di riscaldamento tendenti a mantenere più caldo l’edificio anche negli intervalli in cui non è occupato.
E’ invece ancora quasi totalmente assente, nel panorama edilizio residenziale italiano, il ricorso a sistemi di ventilazione meccanica controllata (VMC) capaci di smaltire gli eccessi di produzione del vapore prodotto all’interno delle abitazioni.
Si tratta di una tendenza preoccupante se si considera che si fa sempre meno frequente l’abitudine di aprire porte e finestre per qualche minuto per aerare “manualmente” gli edifici, e si diffonde l’uso di prodotti per la casa profumati sui cui componenti, spesso nocivi alla salute, anche recentemente i mezzi di comunicazione italiani hanno avuto modo di informare. Anche gli elementi di arredo sono spesso fonti di emissioni gassose nocive alla salute umana. E’ quindi fondamentale aerare gli ambienti di vita se si mira a mantenersi in buona salute.
Il maggiore consumo energetico associato ad una ventilazione naturale dell’edificio non può essere invocato come motivo per evitarla, anche perché se l’obiettivo è quello di conseguire un uso efficiente dell’energia sono disponibili apparecchi che grazie a batterie di scambio sono in grado di recuperare la maggior parte del calore contenuto nell’aria in espulsione per trasferirlo su quella in ingresso. Questi sistemi hanno un costo non trascurabile, ma la mancata loro diffusione non è legata al prezzo. Sono infatti disponibili anche altre soluzioni per migliorare la qualità dell’aria all’interno dei nostri edifici, come bocchette igroregolabili per l’espulsione di quantità crescenti di aria all’aumento del suo tenore di vapore: nonostante il loro prezzo molto più economico anche queste soluzioni sono raramente adottate in Italia.
Eppure non è possibile contare sulla sola capacità di diffusione del vapore acqueo assicurata dall’involucro edilizio per allontanare tutto il vapore che viene prodotto all’interno di un’abitazione. L’idea che l’edificio possa “respirare” e quindi smaltire la maggior parte del vapore prodotto da chi lo abita non è veritiera: diverse ricerche individuano in quantità variabili tra il 3 ed il 10% la quantità di vapore che può migrare per diffusione attraverso gli involucri edilizi, anche nelle migliori condizioni attuabili. Il rimanente 90% non può che essere asportato per ventilazione. Contare poi sul ricambio d’aria che può realizzarsi attraverso gli spifferi è assolutamente insensato: nell’attraversare fessure d’involucro l’aria si arricchisce di polvere, spore di muffe, batteri. Non può certo rendere più salutare il nostro vivere negli ambienti chiusi.
Controllare il vapore
Poiché la capacità del vapore di mantenersi in sospensione nell’aria dipende dalla temperatura alla quale si trova e dalla sua pressione di saturazione è su questi fattori che si gioca il suo controllo. E’ sufficiente mantenere in sospensione (evitando che raggiunga la temperatura di saturazione) il vapore sino agli strati più esterni del pacchetto di copertura per evitarne effetti di danno. Altra tecnica ancor più sicura è quella di irreggimentare con molta precisione la quantità di vapore che può accedere al pacchetto di copertura, bloccandone l’eccesso negli strati più interni delle chiusure.
Quest’ultima tecnica prevede pertanto la pressoché completa sigillatura dell’involucro edilizio dall’interno, attraverso la posa di efficaci freni o barriere al vapore. Si tratta di una metodologia operativa largamente impiegata nei paesi più a nord del nostro. Essa richiede una perfetta messa in opera degli strati di controllo del vapore e la sigillatura di ogni discontinuità dovuta al passaggio di canalizzazioni o ad altri dettagli, onde evitare accumuli localizzati di condensa con effetti di degrado localizzati ma molto evidenti. Sono peraltro disponibili prove tecniche di collaudo ed accettazione dell’edificio alla consegna dei lavori basate sulla valutazione della quantità di aria in grado di attraversare l’involucro edilizio.
Generalmente per barriera al vapore si intende uno strato impermeabile a tale elemento, capace di non farne transitare attraverso il suo spessore più di 0,4 gr/m2 in 24 ore.
Un altro dato che si usa impiegare nella descrizione del comportamento di uno strato di materiale nei confronti del passaggio del vapore è l’Sd, detto anche spessore dello strato d’aria con proprietà di diffusione equivalenti. Esso descrive a quanti metri di spessore di uno strato d’aria equivale l’azione di freno sul vapore esercitata da una membrana. Una membrana con Sd=0,5 m si oppone pertanto al passaggio del vapore con la stessa intensità con cui lo fa uno strato di 50 cm di aria in quiete. L’Sd non si impiega comunque solo per descrivere il comportamento di una membrana. Lo si può calcolare per ogni elemento moltiplicando il coefficiente μ (coefficiente di resistenza alla diffusione del vapore acqueo) del materiale in analisi per lo spessore dello strato considerato, espresso in metri.
La maggiore differenza nel comportamento di un edificio in cui il vapore ha accesso al pacchetto di copertura ed uno in cui tale ingresso è impedito si nota laddove gli ambienti sottotetto sono destinati ad attività umane diverse ed in particolare caratterizzate da elevata produzione di vapore. Le simulazioni termoigrometriche normalmente condotte (verifica di Glaser ad esempio) considerano valori medi di concentrazione del vapore all’interno di edifici residenziali. Laddove però nel sottotetto si trovino bagni, cucine o stenditoi si realizzano localmente concentrazioni di vapore che facilmente causano condensazioni superficiali o interstiziali sulla proiezione orizzontale del soffitto. In questo caso, se l’ingresso del vapore nel pacchetto di copertura non è adeguatamente impedito o regolato, è fondamentale disporre di strati di diffusione del vapore che ne abbassino velocemente le concentrazioni eccessive localizzate, distribuendolo su superfici più ampie per favorirne la diffusione verso l’esterno. Anche le chiusure superiori maggiormente capaci di diffondere vapore non arrivano infatti a smaltire più che poche decine di grammi di vapore per metro quadrato nell’arco delle 24 ore.
Gli edifici sono talvolta paragonati ad una “terza pelle” dopo la cute vera e propria ed il vestiario. Questo esempio ci è utile per chiarire l’importanza di disporre i diversi strati che formano i pacchetti costruttivi in copertura con precisi rapporti prestazionali in termini di diffusione del vapore. Indossando i guanti in polietilene che si usano nei negozi di frutta per toccare la merce si nota che dopo pochi minuti la pelle risulta bagnata ed il guanto le aderisce fastidiosamente. La ragione sta nella maggiore capacità dello strato di polietilene di frenare il passaggio del vapore rispetto alla pelle. Il problema non si ha indossando un guanto in cotone o lana: la loro grande trasparenza al vapore permette che ne esca più di quanto la pelle ne emani nell’unità di tempo ed evita la deposizione di condensa evidenziata dalle mani che si bagnano. Anche i telisottomanto impiegati in copertura non sono tutti ugualmente capaci di smaltire vapore.
Il mercato ne propone con capacità di smaltimento che vanno da 15 a 1500 grammi di vapore per metro quadrato di superficie nell’arco di 24 ore. La scelta di quale sia il più adatto in una precisa situazione non può pertanto essere casuale. La massima accortezza è richiesta inoltre quando si prevede di posare più di uno di questi strati all’interno dello stesso pacchetto di copertura, ad esempio abbinando un manto impermeabile all’esterno ad uno strato di controllo del vapore verso l’interno. In questo caso infatti bisogna fare in modo che il telo più interno lasci passare meno vapore di quello che può smaltire lo strato più esterno. In caso contrario si lascerebbe entrare nel pacchetto di copertura più vapore di quanto ne possa uscire.
Non va dimenticato che il vapore che raggiunge lo spazio di sottomanto (la faccia inferiore delle tegole o degli altri elementi del manto) dopo aver attraversato il resto del pacchetto di copertura può condensare su queste superfici. E’ in questo caso che si rende indispensabile aver predisposto uno strato di ventilazione sottomanto, o almeno di microventilazione, per l’asciugatura della condensa.
Anche l’uso di materiali fortemente igroscopici all’interno degli edifici può aiutare nella gestione del vapore, ma va rimossa l’idea che questo basti, una assenza di una corretta ventilazione, per far funzionare correttamente l’involucro.
Interventi di risanamento
Ancor più complesso è l’intervento di risanamento di pareti e coperture soggette a condensazione superficiale. Tale fenomeno in genere è dovuto a ponti termici localizzati, ma capita purtroppo ancora di imbattersi in costruzioni non isolate termicamente in modo ragionevole. La percezione di un soffitto freddo ed umido porta a considerare come migliore soluzione un intervento che ne aumenti la resistenza termica. Dato che intervenire dall’esterno è operazione spesso eccessivamente complessa e costosa, si opta per l’aggiunta di strati di materiale isolante dall’interno del vano. Il risultato è che viene trattenuto più calore all’interno della stessa stanza. Ciò è positivo dal punto di vista termico, ma porta come conseguenza un’ulteriore raffreddamento della superficie su cui già prima il vapore condensava, con il risultato di rendere più ingente tale fenomeno.
Si ha occasione di osservare tale effetto quando si spostano armadi addossati a pareti perimetrali in case non ben isolate. In questi casi si nota infatti talvolta la presenza di muffe da condensa solo sulla porzione di parete che stava dietro all’armadio ed era da questo, per così dire, “riparata” dal caldo presente all’interno della stanza.
L’intervento che necessita in questo caso è la contestuale posa verso l’interno di strati di barriera al vapore accuratamente sigillati per evitare che il vapore possa raggiungere la superficie ulteriormente raffreddata. La perfetta sigillatura di uno strato di barriera al vapore è un’operazione particolarmente complessa, ed al contorno della superficie di intervento rimane comunque una zona nella quale è spesso difficile fare in modo che il vapore non si infili.
Possono allora sortire buoni risultati anche rivestimenti a cappotto interno realizzati con materiali isolanti capaci di funzionare come volani igrotermici, capaci di scambiare con l’ambiente quantità di vapore in quantità consistenti, come il silicato idrato di calcio. In questo caso tuttavia bisogna considerare che questi materiali possono assorbire grandi quantità di vapore, ma ne devono anche essere poi asciugati, perché come un maglione di lana, non tengono più caldo se sono bagnati, ed in ogni caso sono dei serbatoi: a forza di immetterci acqua prima o poi tracimeranno. La ventilazione quindi è sempre necessaria, anche in presenza di materiali all’apparenza miracolosi. Persino se si impiegassero vetri cellulari, capaci di isolare e di non lasciarsi assolutamente attraversare dal vapore acqueo è necessario considerare quanto vapore è rilasciato nel corso delle nostre normali attività di vita. Il convivere in situazioni di sua eccessiva presenza è motivo di discomfort se non causa di vere e proprie patologie.
[ arch.Claudio Pellanda - info@klimark.it – www.klimark.it ]
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Paganin Giancarlo, Fenomeni di condensa all’interno degli edifici, in Recuperare n.46, 1990
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Seiffert K., Damp diffusion and building, Elsevier Publ., Amsterdam, London, New York, 1970
Didascalie
Immagine 1
Muffa su ponte termico tra finestra e controfinestra. L’aria che oltrepassa la controfinestra si raffredda a contatto col vetro esterno e deposita condensa su di esso e sul muro
Immagine 2
Recuperatore di calore a flussi incrociati. Trasferisce calore dall'aria in espulsione a quella di rinnovo, permettendo il ricambio d’aria senza lo spreco di calore
Immagine 3
Blower door test, si mette in depressione ed in sovrappressione l’interno dell’edificio per misurare l'ermeticità dell'involucro
Immagine 4
E' utile porre un freno al vapore sul lato caldo di isolanti sensibili all'umidità, per evitare, in particolare in quelli di origine vegetale, che ne venano umidificati, perdendo efficacia. Non va dimenticato che hanno strutture fibrose con grande affinità per il trasporto di liquidi
Immagine 5
I casoni di Carole, costruzioni in cui pareti esterne e coperture erano interamente tamponate con canne palustri. Forse un tempo “respiravano”, scambiando attivamente anche vapore con l’esterno. Oggi sono accuratamente impermeabilizzati per tenere l’acqua, ed anche per il vapore l’attraversamento di diversi strati costruttivi risulta difficoltoso
Immagine 6
Teli diffusivi del vapore. Non sono tutti uguali, e sbagliare scelta può costare caro. Vanno confrontati in genere secondo il valore Sd, lo spessore d’aria in quiete, espresso in metri, che riesce a frenare il vapore quanto il telo in analisi
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